Dalla contestazione giovanile del 1968 all’indottrinamento gender del 2013:
stesso obiettivo, diversa strategia.
L’obiettivo di chi odia il genere umano è sempre lo stesso: la famiglia. Ma la strategia cambia, si rinnova, si adegua per fare più danno, più male. Pur nelle sue mille difficoltà, accresciutesi nei fatti anche a causa delle leggi sul divorzio (1970) e sull’aborto (1978), la famiglia rimane il punto di partenza e d’arrivo per la realizzazione dell’individuo. La qual cosa potrà stare stretta a qualcuno, ma nulla di alternativo e altrettanto valido si prospetta, né si prospetterà in futuro, all’orizzonte. Resta solo la follia di sparute e agguerrite minoranze che vogliono inventare, e poi imporre a tutti i costi, soluzioni “chimera” come le coppie di fatto, o proposte fantascientifiche come i matrimoni omosessuali, ovvero cose astruse come le fecondazioni in vitro, quasi fossimo polli da batteria .
Per comprendere le diverse strategie adottate da chi vuole attaccare la famiglia dobbiamo ricordare che questa è l’incrocio tra generi e generazioni. E’ l’incrocio perpendicolare tra due assi costituiti dai generi maschile e femminile (asse orizzontale) e dalle tre generazioni anziana-adulta-giovane (asse verticale). Per aggredire la famiglia basta dunque attaccare uno dei componenti dei suoi due assi o – ancora meglio – aggredirli tutti, contemporaneamente, con un’azione a tenaglia
Nel 1968 vennero aggredite ambedue le agenzie educative istituzionalmente riconosciute (famiglia e scuola), ponendo in discussione l’asimmetria del rapporto educativo genitore-figlio e di quello insegnante-studente. La differenza tra i ruoli, di chi educa e di chi è oggetto di educazione e/o insegnamento, fu spacciata come discriminazione, palese ingiustizia da sanare immediatamente e a ogni costo. Da quel momento le famigerate tesi del dottor Benjamin Spock (vietato vietare) comportarono lo snaturamento dei rapporti tra le generazioni degli adulti e quella dei giovani, imponendo al genitore il ruolo di “amico del figlio” e al docente quello di “pari grado” dello studente. Con l’onda lunga del ’68 seguì nel ’74 l’approvazione dei decreti delegati della scuola: lo stesso insegnante perse definitivamente prestigio e autorevolezza di fronte a studenti, genitori e opinione pubblica. Rimettendoci anche in salute: se fino agli anni ’60 le principali patologie professionali dei docenti erano le laringiti croniche, oggi tra chi insegna le malattie psichiatriche sono cinque volte superiori alle prime. Da recenti studi sulla salute dei docenti (Conbs 10/2012 e La Medicina del Lavoro N° 5/2004) le diagnosi psichiatriche negli insegnanti inidonei per motivi di salute sfiorano l’80%, mentre le disfonie croniche non superano il 15%. In barba ai canonici stereotipi sulla classe docente (“lavora mezza giornata e fruisce di tre mesi di ferie all’anno”) la categoria professionale degli insegnanti – proprio in quanto helping profession - risulta essere in assoluto la più esposta a disturbi mentali rispetto a impiegati, personale sanitario e colletti blu. Neppure può consolarci il fatto che questi tristi primati sono condivisi con gli altri Paesi europei e non solo. Francia e Gran Bretagna confermano infatti che la professione docente è quella più esposta al rischio suicidario, mentre il Giappone presenta dati sovrapponibili ai nostri. Stiamo dunque raccogliendo a piene mani i frutti del ’68 anche nella scuola. Se poi pensiamo che buona parte del personale docente italiano – in assoluto il più vecchio di tutta Europa – partecipò attivamente alla contestazione studentesca di quegli anni, non ci dovremmo stupire di fronte allo smarrimento odierno di chi, a suo tempo, contestò il sistema come studente mentre oggi che è dietro la cattedra è posto in discussione come insegnante. Non può che discenderne una potente crisi d’identità.
Alla contestazione studentesca del ’68 si accompagnava anche la rivoluzione sessuale. Il sesso è infatti uno dei basic needs dell’uomo (la fame era oramai sconfitta nei Paesi avanzati) ed entrò a pieno diritto quale ingrediente fondamentale della rivoluzione in atto. Una vera manna per liceali e universitari di allora: niente studio e sesso libero. Solo Mao, con la rivoluzione culturale, era riuscito a far di peggio fino ad allora, ribaltando il ruolo di “potere” dei genitori/insegnanti e insediando in loro vece i figli/studenti.
Riferiti alla istituzione familiare i frutti del ’68 sono davanti agli occhi di tutti: calo dei matrimoni, aumento dei divorzi e delle separazioni, inverno demografico, sei milioni di aborti legali dal 1978 e via dicendo.
Anche sul fronte scientifico, il ’68 ha dato il via a una nuova rivoluzione che si è conclusa nel 1990. L’omosessualità, classificata nel DSM II come “deviazione sessuale”, alla stregua di pedofilia e necrofilia, verrà eliminata nel ‘74 dal DSM III (rimarrà solo quella egodistonica all’interno dei cosiddetti Disturbi dell’identità di genere) e sarà definitivamente derubricata come patologia dal DSM III R nel 1987. Entrerà a pieno titolo come tendenza sessuale assolutamente normale (dal 17 Maggio 1990 l’omosessualità sarà considerata dall’OMS – nell’ICD 10 – come variante normale della sessualità). Gli Ordini degli Psicologi, italiani e di altri Paesi, considerano addirittura contraria alla deontologia professionale la cosiddetta terapia riparativa. Doveroso segnalare che lo stesso percorso di sdoganamento dall’inquadramento patologico lo sta compiendo oggi la pedofilia che nel DSM V (maggio 2013) viene derubricata da patologia a disturbo, in attesa di essere ritenuta anch’essa normale orientamento sessuale.
Se nel ’68 fu attaccato l’asse verticale della famiglia (quello delle generazioni) mettendo i genitori contro i figli, nel 2013 l’ideologia del gender aggredisce l’asse orizzontale (genere maschile e femminile), proponendo l’alternativa omosessuale come antidoto a una “superata e bigotta dittatura eterosessuale”. La legge sull’omofobia (entità indefinita che aprirà purtroppo al reato d’opinione), una volta approvata, spianerà la strada al riconoscimento dei matrimoni omosessuali, quindi alle adozioni, infine al mercato della fecondazione artificiale. Ecco allora un nuovo attacco in grande stile, ma stavolta portato avanti con una strategia più sottile e subdola. L’ideologia del gender sostiene che i generi maschile e femminile sono un mero dato biologico che nulla ha a che vedere con l’unico vero dato: l’orientamento sessuale dell’individuo. E’ pertanto il desiderio del singolo a farla da padrone e non certamente il dato oggettivo, naturale, biologico. Le identità maschile e femminile vengono quindi superate e sostituite da una miriade di orientamenti sessuali (LGBTQIGV…) che, se non accettati, sarebbero equiparati a intollerabili discriminazioni ai danni dell’individuo “diversamente orientato sessualmente”. Le discriminazioni vanno poi sanzionate con leggi all’uopo predisposte (vedi prossima legge Scalfarotto sull’omofobia). Ecco che non si punta più all’occupazione delle scuole e degli atenei con grande clamore, come nel ’68, ma, grazie all’azione di sparuti gruppuscoli organizzati e ben finanziati, si punta all’approvazione di proposte di legge nell’indifferenza generale. Tali norme vengono spacciate come necessarie, urgenti e antidiscriminatorie: e il gioco è fatto. Si predispongono inoltre pseudo documenti programmatici (Strategia Nazionale antidiscriminazione LGBT dell’UNAR in seno al Dipartimento delle Pari Opportunità), sotto la dettatura di soli associazioni LGBTQIGV (Lesbian, Gay, Bisex, Trans, Queer, Intersex, Gender Variance), escludendo altresì le sole due agenzie educative istituzionalmente riconosciute (scuola e famiglia). Vengono poi allocati fondi istituzionali per finanziare l’indottrinamento ideologico, nella scuola dell’obbligo, e finalmente si attua la propaganda sui minori (dalle scuole materne alle superiori), non tralasciando nemmeno le università della terza età, ed i settori della Pubblica Amministrazione, i mass-media, l’ambiente carcerario.
Se il ’68, oltre ai danni prima descritti, ha comportato un cospicuo abbattimento del numero dei matrimoni, oggi ci si vuole addirittura impadronire dell’istituto giuridico del matrimonio mettendolo a disposizione di tutti, omosessuali inclusi, col preciso intento di dimostrare che se tutto è matrimonio, nulla è matrimonio. Il riconoscimento del matrimonio omosessuale aprirà poi all’adozione e, in rapida successione, al diritto al figlio. Questi potrà infine essere concepito in provetta, ricorrendo a seme, ovuli e uteri in affitto disponibili sul mercato. Avremo così individui senza padri né madri, alla stregua di un tamagochi.
Fu decisamente profetico Paolo VI quando il 25.07.68, tra lo stupore generale, promulgò l’Humanae Vitae che ribadiva la contrarietà ecclesiastica all’uso degli anticoncezionali. Paolo VI sosteneva strenuamente che non è possibile disgiungere l’atto unitivo da quello procreativo: qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita. Esattamente 10 anni dopo (25.07.68) nacque Louise Brown, la prima figlia della provetta, mentre oggi assistiamo al Far West della fecondazione artificiale proprio grazie alla separazione netta tra la dimensione unitiva e quella procreativa .
Sul versante “culturale”, nel 1972, venne alla luce lo scandaloso film di Bertolucci “Ultimo tango a Parigi” che fu un vero e proprio attacco all’istituzione familiare: prova ne sia lo scambio di battute nello spaccato più osceno della pellicola nella scena della sodomizzazione col burro (Brando: “Voglio farti un discorso sulla famiglia. Ripeti con me: santa famiglia, sacrario dei buoni cittadini, inventata per educare i selvaggi alla virtù, dove i bambini sono torturati fin dalla loro prima bugia. La libertà vi è spezzata dalla repressione ed assassinata dall’egoismo. Fuck the family…”). In Italia il film venne subito sequestrato e il 29.01.76 la Corte Suprema di Cassazione sancì il sequestro e la distruzione di tutte le copie delle pellicole. La Schneider, allora 19enne, subirà le conseguenze della parte e diverrà eroinomane subendo reiterati ricoveri psichiatrici. Morirà nel 2011, all’età di 59 anni, in completo abbandono. Brando si sposerà 3 volte (i primi due matrimoni dureranno 2 anni ciascuno, mentre la relazione con la terza moglie durerà 40 anni, anche se nel contempo Brando avrà 3 figli dalla sua cameriera). La figlia Cheyenne del terzo matrimonio si suiciderà a seguito dell’omicidio del suo fidanzato, perpetrato dal fratellastro del primo matrimonio dell’attore. Al processo di separazione la prima moglie accuserà Brando di perversioni sessuali rituali poiché per poter amare una donna, doveva brutalizzarla. Oggi – in perfetta linea col pensiero dominante anti famiglia - il film Ultimo tango a Parigi è diventata una pellicola cult, alla faccia di chi ne aveva decretata la distruzione. A noi preme sottolineare come la scena della sodomizzazione e l’insulto all’istituzione matrimoniale coincisero precorrendo i tempi odierni. La pellicola che doveva essere distrutta, oggi è un cult movie.
Infine nel 1981 – a pochi mesi dall’attentato – Giovanni Paolo II scrisse un’esortazione apostolica rivolta alla famiglia (FC, 44) sollecitandola a “prendere parte alla vita politica e sociale del Paese per non dover subire in futuro quei mali cui la famiglia stessa si sarà limitata ad assistere”. Parole profetiche e inascoltate cui ciascuno oggi deve prestare grande attenzione: la famiglia è un valore che ci riguarda da vicino e chiede di essere difeso e promosso, a salvaguardia delle generazioni future. Molti evocano la rinascita di un patto generazionale (e previdenziale) tra padri e figli, ma tutti sembrano dimenticarsi che un simile accordo si sancisce solamente all’interno delle mura domestiche, in famiglia appunto. Rinunciare a difendere la famiglia tradizionale equivale a rendersi responsabili delle sue sofferenze a detrimento delle future generazioni e di quella attuale.
21 Gennaio 2014
Vittorio Lodolo D’Oria
Portavoce Famiglie Numerose Cattoliche